Curiosità sulla pizza….
…Esistono inoltre altri tipi di farine, come quella di mais, di orzo, di segale, di kamut, di castagne, di riso, di soia e molte altre ancora.
…Pizza e Salute…
…Origini della pizza: Egitto, Grecia, Roma….
Esistono inoltre altri tipi di farine, come quella di mais, di orzo, di segale, di kamut, di castagne, di riso, di soia e molte altre ancora.
Nell’uso comune, il termine farina serve ad indicare quella di grano e in particolar modo quella di grano tenero, mentre si usa la parola semola per la polvere di grano duro.
Per il loro ruolo nella fabbricazione di pane, pasta e pizza, queste su menzionate, sono le farine più diffuse nel mondo, tutelate dalle leggi dei diversi paesi.
La legge italiana stabilisce chiaramente le caratteristiche ed eventuali denominazioni di questo prezioso alimento, con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 187 del 9 febbraio 2001.
Esistono poi altri tipi di farine, come quella di mais, di orzo, di segale, di kamut, di castagne, di riso, di soia e molte altre ancora. Queste sono impiegate nei modi più disparati, dall’alimentazione umana a quella animale, dall’uso farmaceutico a quello per profumi e trattamenti di bellezza.
Di alcune di queste farine, che potremmo definire meno conosciute, ci occuperemo in questo breve excursus.
La farina di segale è abbastanza povera di glutine ma ricca in ferro, fosforo e vitamina B e il prodotto che ne deriva è compatto, con tendenza all’umidiccio. Le cotture della segale si distinguono, contrariamente alle cotture di grano, per la pasta aromatica, dura e scura, cui manca però la parte aerata della pasta di grano.
Spesso per giungere a prodotti vendibili le paste di farina di segale devono essere addizionate di acidi, cioè devono essere sottoposte ad un’aggiunta di lievito. La caratteristica principale dei prodotti di segale, oltre al loro alto potere nutritivo, risiede nel fatto che possono essere conservati a lungo, mantenendo inalterate le loro peculiarità.
Fra i più grandi produttori di segale nel mondo citiamo la Russia, la Polonia e la Germania.
Affrontiamo ora l’analisi di un’altra farina che rientra tra quelle di uso meno frequente ovvero la farina Manitoba.
La peculiarità risiede nel fatto che si tratta di una farina derivata da un particolare grano tenero del Nord America, precisamente di una vasta provincia del Canada, Manitoba appunto.
Questa farina è definita forte e rientra nella categoria di quelle definite speciali ovvero con indice W > 350.
La caratteristica è quella di produrre, durante la fase d’impasto, una grossa quantità di glutine che, negli impasti lievitati trattiene i gas della lievitazione permettendo un notevole sviluppo del prodotto fin durante la cottura.
L’impasto fatto con la Manitoba risulterà più elastico e più forte, adatto per la lavorazione di pane particolare come per esempio il pane pugliese e la baguette francese o comunque di tutti quei prodotti che hanno bisogno di essere lavorati molto e di risultare molto leggeri.
Spesso nella pratica si usa un mix di questa farina con altre in modo da rendere l’impasto più forte senza necessariamente usare prettamente quella che viene anche detta farina americana.
Il mix può avvenire anche direttamente presso le industrie molitorie, che all’occorrenza possono miscelare una percentuale di farina Manitoba con farine altrimenti troppo deboli da essere utili ad impasti quanto meno accettabili.
Passiamo ora alla farina di soia, la quale riveste importanza per le molte considerazioni che su di essa sono state, sono e saranno fatte, dalla letteratura di settore e dai ricercatori.
Vi sono due varietà di soia, quella gialla, che è anche la più commercializzata e quella nera, che invece è consumata soprattutto sul luogo di produzione.
I principali produttori mondiali di soia sono gli Stati Uniti, la Cina, l’India, l’Argentina e l’Italia, ma il dato importante è che si tratta di gran lunga della principale coltura transgenica del mondo. La farina di soia è simile alla farina estratta dai cereali, con la differenza che si utilizza come fonte il seme della soia. E’ quella più ricca in proteine, tuttavia in cottura sviluppa un sapore sgradevole che ne impediva l’utilizzo fino a poco tempo fa.
Adesso però, la farina di soia viene raffinata e vengono eliminati i componenti responsabili del gusto cattivo, per cui viene utilizzata in miscela con la farina di frumento per migliorare le qualità proteiche di quest’ultima. A differenza delle farine da cereali, la farina di soia non contiene glutine quindi può essere una valida alternativa per chi ha contratto il morbo celiaco.
Un impasto preparato con farina di soia ovvero con un mix di farina di soia e di frumento deve essere cotto a temperature inferiori a quelle adottate per gli impasti fatti con farine di cereali, dato che la soia tende ad imbrunire maggiormente e più rapidamente.
In ultima istanza analizziamo la farina di kamut.
Il Kamut è un prezioso cereale che risale ad epoche antiche, si distingue dagli altri cereali per alcune qualità fondamentali: il valore nutritivo, il gusto eccellente ed un effetto nettamente meno allergenico rispetto al grano.
La farina di Kamut proviene da materie prime selezionate e controllate secondo parametri predefiniti.
Si tratta di una farina ottenuta dalla macinazione a cilindri del grano kamut, una varietà di frumento duro di origine egiziana, un antenato del grano duro moderno. Il valore nutritivo della farina di Kamut è superiore a quello dei cereali moderni, contiene percentuali più elevate di proteine (dal 20 al 40% in più rispetto al grano), di lipidi, amminoacidi (in particolare lisina), vitamine e minerali ed è pertanto classificato come un cereale ad alto valore energetico. La farina di Kamut presenta caratteristiche di ottima digeribilità e costituisce l´alimento ideale per placare gi attacchi di fame.
E´ stato dimostrato dall´Associazione Internazionale contro le Allergie Alimentari che per molte persone sensibili al frumento, la farina di Kamut rappresenta il cereale da poter mangiare senza problemi. Dopo questa breve panoramica lascio a voi lettori la curiosità di provare la pizza e altri prodotti fatti con queste farine ricercate e di nicchia, in modo da potervi fare una vostra opinione e soprattutto stabilire se si tratti di effettivi valori nutrizionali e di gusto o soltanto di una vox populi.
Pizza e Salute
La pizza può considerarsi l’alimento principe nella dieta mediterranea,ed è senz’altro il più universalmente conosciuto.Gli ingredienti della Pizza Margherita, ad esempio, il tipo di pizza più diffuso, sono infatti quelli tipici della dieta mediterranea: farina di cereali, acqua, olio d’oliva, pomodoro e mozzarella fresca. Ingredienti che possono aumentare e variare a seconda del tipo di pizza che consumiamo.toricamente la pizza è sempre stata (e ancora è) considerata un piatto unico, almeno dalle classi popolari, per le quali una pizza era pranzo o cena, necessaria e sufficiente.
Ma passiamo a esaminare uno per uno gli ingredienti che entrano nella composizione della Pizza Margherita.
Cereali: carboidrati complessi dati dalla farina, di più lento assorbimento di carboidrati semplici come gli zuccheri, saziano e forniscono energia costante senza incidere sull’aumento del tasso di glucosio. Pertanto neutralizzano la fame e limita la richiesta di altro cibo permettendo il dimagrimento. La pasta della pizza contiene aminoacidi al pari della carne.
Olio d’oliva extravergine: il grasso più nobile e sano, mediterraneo per eccellenza.E’ ricco di HDL (colesterolo che favorisce la pulizia delle arterie) e di vitamine A,D,E,K.
Mozzarella: la mozzarella (come tutti i formaggi) è ricca di lisina e metionina ossia proteine animali contenute nel formaggio.
Pomodoro: importante fonte di vitamine che contribuisce in misura notevole all’apporto vitaminico di una buona pizza.
Esaminiamo ora brevemente alcune proprietà degli odori che sono irrinunciabili compagni della pizza: il basilico dal caratteristico odore e sapore ben noto a chi ama la pizza, ha proprietà antidispeptiche e antisettiche.
E’ inoltre un antiinfiammatorio e favorisce la digestione.
Le proprietà benefiche dell’aglio sono note e scientificamente riconosciute: ricordiamo qui che esso è un antisettico intestinale, un cardiotonico e ha proprietà diuretiche e antisclerotiche.
E infine anche l’origano altro odore principe della pizza napoletana. E’ un espettorante: combatte quindi tossi, bronchiti e tracheiti.
Anch’esso versatilissimo, stimola l’appetito e agisce da antidolorifico per torcicolli e reumatismi l’apporto vitaminico di una buona pizza.
I benefici per la salute dati da una dieta mediterranea sono noti: ricordiamo solamente che essa aiuta a combattere numerose malattie tipiche del nostro tempo quali arteriosclerosi, infarto e ipertensione.
La pizza contiene un elevato contenuto di protidi, rilevante quantità di ferro e le vitamine B1 e PP.
Evita la formazione di acido urico, non ingrassa ed è più digeribile di altri cibi grazie all’azione svolta dagli amidi.
E’ perciò una alternativa al consumo di carne e un valido piatto unico che, integrato da frutta e verdura, può soddisfare quasi completamente il fabbisogno giornaliero del corpo umano grazie al suo apporto vitaminico e proteico.
Origini della pizza: Egitto, Grecia, Roma.
La pizza ha tremila anni di storia.Tutte le civiltà, si può dire, hanno conosciuto forme differenti di focacce, schiacciate e simili che vedevano nell’impasto tra farina di cereali di vario genere, acqua e i più svariati condimenti una fonte di nutrimento fondamentale nella alimentazione umana.
L’antichità a noi vicina, quella che vide il fiorire delle civiltà che si affacciavano sul Mar Mediterraneo offre perciò un’ampia messe di esempi di quelli che possono considerarsi gli antenati della pizza quale noi la conosciamo.
Dall’Egitto alla Grecia classica all’antica Roma e Pompei è perciò tutto un proliferare di vivande che richiamano nella composizione e nella cottura la pizza.
Nell’antico Egitto era usanza celebrare il genetliaco del Faraone consumando una schiacciata condita da erbe aromatiche, Erodoto tramanda diverse ricette babilonesi e nel VII sec. A.C. Archiloco, il poeta-soldato, in alcuni versi ci informa di avere nella lancia la sua focaccia impastata, l’alimento principale del soldato.
La Grecia classica mostra quindi una vasta messe di esempi che ci riportano alla pizza, o almeno a una sua versione per così dire archetipale: schiacciate e focacce di vario genere si mostrano alimento diffuso e popolare in tutta l’antichità classica.
Numerose sono le testimonianze di scrittori greci riguardanti diversi tipi di pizza, la cosiddetta maza in greco antico: testimonianze che ritroviamo puntualmente nel mondo latino e nella Roma antica dove tra le altre versioni lievitate e non di questa focaccia troviamo la placenta e l’offa, preparata con acqua e orzo, il cereale alla base dell’alimentazione dei popoli latini.
La pizza, non volendo qui dar credito ad altre fantasiose ipotesi sulla sua origine, si presenta così come un alimento tipico delle culture che storicamente si sono affacciate sul bacino del Mediterraneo. E in una delle regine del Mar Mediterraneo, Napoli, essa troverà la sua patria e il punto di partenza di una diffusione che può ben dirsi planetaria.
Nel MEDIOEVO
Numerose sono le tracce di questo alimento, che nel corso dei secoli va sempre più avvicinandosi alla forma attuale, anche in epoca medievale e rinascimentale, ondeggiando tra gusto aristocratico e consumo popolare, tra i banchetti regali e la mensa del povero: la parola pizza è già attestata in epoca altomedievale e nei secoli successivi si rinvengono svariate forme locali di questo termine indicanti variazioni culinarie sul tema, dal dolce al salato, e differenti metodi di cottura.
I longobardi calati in Italia meridionale dopo la caduta dell’impero romano avevano portato con sé la bufala che,una volta ambientatasi tra il Lazio e la Campania, fornirà il latte per la fabbricazione della mozzarella.
E in epoca moderna la scoperta del Nuovo Mondo recherà in Europa un elemento principe della pizza che è quasi impossibile immaginarne priva: il pomodoro.
Dopo le iniziali diffidenze, il pomodoro fece il suo ingresso trionfale nella cucina italiana, e in quella napoletana in particolare. La pizza ne sarà illustre beneficiaria avvicinandosi sempre più alla forma che oggi conosciamo.
La pizza tra ‘700 e ‘800.
Ma è tra ‘700 e ‘800 che la pizza si afferma sempre più come uno dei piatti della cucina napoletana preferiti del popolo, entrando a pieno titolo nella tradizione culinaria di questa città: e si vanno definendo sempre le caratteristiche della pizza e dei luoghi deputati al suo confezionamento, le pizzerie.
Nel ‘700 la pizza viene confezionata in forni a legna per essere quindi venduta per le strade e i vicoli della città: un garzone di bottega che portava in equilibrio sul capo la stufa, recava direttamente agli acquirenti le pizze, già confezionate con diversi ingredienti e condimenti, dopo averli avvisati del proprio arrivo con sonori e caratteristici richiami.
A cavallo tra il ‘700 e l’800 comincia ad affermarsi l’abitudine di gustare la pizza anche presso questi forni oltre che per strada o in casa, segno del crescente favore che incontrava questa vivanda entrata ormai a pieno titolo nell’alimentazione del popolo napoletano: nasce la pizzeria nella forma che noi conosciamo e vanno definendosi anche le caratteristiche per così dire fisiche e ambientali della pizzeria quale noi la conosciamo.
Il forno a legna, il bancone di marmo dove viene confezionata la pizza, lo scaffale dove sono in bella mostra gli ingredienti che andranno a comporre le differenti varietà di pizza, i tavoli dove gli acquirenti la consumano, l’esposizione esterna di pizze vendute ai passanti: tutti elementi che si ritrovano tuttora nelle pizzerie napoletane.
Nascono le prime dinastie di pizzaiuoli napoletani: nel 1780 viene fondata la pizzeria “Pietro e Basta Così” la cui tradizione a due secoli di distanza è continuata dall’Antica Pizzeria Brandi.
Tra gusto aristocratico (Re Ferdinando II di Borbone ben gradiva le pizze di ‘Ntuono Testa alla Salita S. Teresa) e ancor più convinto favore popolare la pizza si afferma come piatto quotidiano, pranzo e a cena del popolo napoletano.
Per tuttol’800 i pizzaiuoli, ambulanti e non, continuano a rifornire i napoletani delle più diverse qualità di pizza, per tutte le tasche, e la pizza entra definitivamente nel folklore del popolo napoletano diventandone una icona.
Testimoni e memorialisti dei costumi del popolo napoletano, ma anche scrittori e musicisti da Matilde Serao a Salvatore Di Giacomo a Libero Bovio e Raffaele Viviani, non mancano di registrare e celebrare la presenza di questo alimento nella vita del popolo. Matilde Serao, cronista attenta della vita della sua città, soleva fermarsi in carrozzella ai piedi della salita di S. Anna di Palazzo e ordinare (presso la Pizzeria Brandi) una pizza che avrebbe gustato poi, fredda, il mattino seguente.
Dopo il Borbone anche i re d’Italia, i Savoia, mostrarono di gradire la pizza napoletana: non solo, ma lasciarono traccia di sé nella storia della pizza.
L’Antica Pizzeria Brandi conserva ancora oggi un documento a firma devotissimo Galli Camillo, capo dei servizi di tavola della real casa del giugno 1889, nel quale si ringrazia S.G. Raffaele Esposito, dell’allora pizzeria “Pietro e Basta Così”, per le qualità di pizza, tra cui la celeberrima pomodoro e mozzarella, confezionate per Sua Maestà la Regina Margherita, che, come sottolinea il testo, vennero trovate buonissime.
La pizza pomodoro e mozzarella fu allora battezzata “Pizza Margherita” dal pizzaiuolo Raffaele Esposito, il nome con cui ancor oggi questa pizza è universalmente conosciuta.
Il principio del nuovo secolo vede la pizza pronta per la sua diffusione su scala nazionale e mondiale, ben al di là dei confini napoletani, che tutti conosciamo: nel corso del nostro secolo ormai al tramonto, la pizza ha conquistato consensi dall’Europa all’America al Giappone, divenendo, e non sembri una esagerazione, patrimonio dell’intera umanità.
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